« Sadako Sasaki »
7 settembre 2006 @ 16:36Sadako Sasaki aveva solo 2 anni quando la bomba spazzo via la sua città. Abitava a circa un chilometro e mezzo dall’epicentro, la bomba sembrò averla risparmiata come aveva risparmiato molte persone padrone ormai di una città di rovine.
Sadako crebbe fino a 11 anni, quando le diagnosticarono il male dei sopravvissuti: leucemia.
La bomba non l’aveva risparmata.
Avrebbe potuto essere una delle tante, se non le avessero raccontato una vecchia leggenda: chi riesce a piegare mille gru di carta (origami) ha diritto ad un desiderio.
Lei voleva guarire. Per cui, non avendo nient’altro da fare in ospedale, si mise a piegare gru di carta dal suo letto.
Ne fece mille, ma non funzionò.
Ripartì per la seconda migliaia, ma arrivata a 1300 morì di leucemia. Il male della bomba la portò via a 12 anni.
I suoi compagni di classe finirono per lei le gru restanti. Non potendo usare il desiderio per lo scopo originale, decisero di usarlo perchè un simile evento non succedesse mai più.
Diedero il via ad una lunga tradizione. Hiroshima è una visita quasi obbligatoria per la tipica scolaresca Giapponese. Quando arrivano immancabilmente portano la loro corona di gru di carta al monumento dedicato a Sadako, nel Peace Memorial Park di Hiroshima.
Le corone di gru vengono deposte dietro la statua dedicata a Sadako ed ai bambini vittime di quella e di altre guerre, come simbolo di pace e speranza.
Chi si aspetta un’Hiroshima cumulo di macerie, deserto atomico alla Ken il guerriero, città spopolata, si sbaglia di grosso.
E’ una normale città di provincia, coi suoi palazzoni e le sue strade trafficate. E’ molto più occidentale della città media Giapponese, i boulevard sono più grandi e possono permettersi anche di sprecare spazio in aiuole.
Della distruzione non rimane che il famoso simbolo di Hiroshima: l’A-bomb dome. Questo palazzo, scampato all’azzeramento, si erge in fondo al Peace Memorial Park. Ha l’aspetto di un’incongruenza uscita dal pozzo del tempo.
I Giapponesi ci hanno fatto ben poco, l’hanno recintato e hanno fatto le minime opere indispensabili perchè non cadesse in pezzi. Un modernissimo sistema di allarme vigila affinchè i turisti non entrino a prendersi un pezzo di muro.
Circondato dai palazzoni, sembra lo spettro di una maledizione che non ha la minima intenzione di andarsene. Mi hanno detto che non pochi volevano fosse abbattuto per cancellare l’ultima traccia dell’atomica. Ma è restato lì, a ricordare che per molto tempo ancora Hiroshima sarà nota come la città della bomba.
Il resto del ricordo è un cippo funebre con una scatola contenente i nomi delle vittime, sulla quale è impressa la scritta “riposate in pace, l’errore non sarà ripetuto” (sic).
Chiude il tutto il museo della pace, il cui scopo è rovinarti la giornata nel più efficace modo possibile.
Non voglio discutere sulla buona fede. Più che compiangere il Giappone, conduce una santa guerra all’armamento atomico.
Ma mi sono chiesto se tutto questo giustifica l’uso di ogni possibile mezzo per metterti di fronte all’orrore.
Certo che, a torto o (più probabilmente) a ragione, da lì esci convinto che un conflitto atomico metterebbe veramente la parola fine a tutto.
E comunque fuori ti aspetta la statua dedicata a Sadako, a ricordarti che essere condannati a morte all’età di due anni non è un destino facile da accettare.
PS: la foto di Sadako l’ho presa da Wikipedia
7 settembre 2006 alle 17:26
Sì, io credo sia giusto che ci mettano di fronte all’orrore.
7 settembre 2006 alle 19:05
Sadako, che dolce ricordo…
7 settembre 2006 alle 20:36
Quando ero piccolo lessi un libro sulla sua storia… che partiva da quella fatidica mattina di agosto. Mi colpì così tanto che me lo ricordo ancora adesso.
E comunque, come dice Asburgo ;-P hanno tutto il diritto e il dovere di ricordare al mondo cosa è successo.
8 settembre 2006 alle 15:42
Bellissimo post Gerry, davvero bellissimo :°)
8 settembre 2006 alle 16:11
@Gaia: grazie, ma soprattutto è pieno di errori di ortografia e puntaggiatura (l’ho appena riletto)
@Brain: E’ giusto non tacere, ma ho avuto l’impressione che andassero oltre il non tacere e sconfinassero nello sfruttare. Non so, mi ha lasciato un certo retrogusto di disagio.
Inoltre devo ammettere che i Giapponesi fanno un po’ le vittime sacrificali, come se in quella guerra non centrassero quasi per niente.
3 ottobre 2006 alle 09:45
Ho letto la storia di Sadako per la prima volta quando ero a scuola.
Tutt’oggi ogni tanto rileggo qualche passo del libro.
E’ giusto ricordare. Non si è trattato di uno scontro tra adulti, ma di un massacro di donne
vecchi e sopratutto bambini.
Un orrore uguale all’olocausto.
NON DEVE MAI PIU’ ACCADERE NULLA DI SIMILE.
29 marzo 2007 alle 23:44
Fa piacere vedere che i blog non sono in totale controllo di giovani depressi.
La storia di Sadako è ricca di significato, credo sia importante parlarne e cercare di capire come sia accaduto un tale massacro.
Forse a certe persone può dare fastidio sentirsi dire che fuori dalla loro vita cè gente che muore, ma dimenticare un errore non ci aiuterà a evitarlo.
L’indifferenza è l’arma peggiore del nostro tempo e dobbiamo diventarne consapevoli.
Complimenti per l’articolo.
18 giugno 2007 alle 17:11
Questa storia è veramente triste… la guerra è orribile…
27 luglio 2008 alle 18:43
complimenti per l’articolo vi consiglio di leggere il libro “IL GRAN SOLE DI HIROSCIMA” di KARL BRUCKNER pubblicato da GIUNTIJunior è un capolavoro della letteratura è stato uno dei libri più belli che io abbia mai letto. IO VI STO SCRIVENDO ORA APPENA FINITO DI LEGGERLO E DOPO AVER CERCATO SU INTERNET QUALCHE ALTRA INFORMAZIONEIL LIBRO L HO COMPRATO SOLO IERI E IN DUE GIORNI L HO GIà FINITO VE LO CONSIGLIO VIVAMENTE
5 agosto 2008 alle 12:22
l’ho letto quando ero piccola almeno 3 volte, è molto bello. io vi consiglio un libro molto ben documentato sulla storia della bomba dai primi esperimenti condotti a Los Alamos,alle testimonianze dei sopravvissuti, con tutti i retroscena politici che è importante sapere per capire. corredato da note dove sono spiegate le fonti e le interviste da cui sono tratti i dati. il libro è di Stephen Walken – Appuntamento a Hiroshima