« Playlist per un giorno di pioggia »
28 novembre 2010 @ 15:35Raccolta disorganica, casuale, composta senza alcun criterio particolare sull’onda del momento.
Raccolta disorganica, casuale, composta senza alcun criterio particolare sull’onda del momento.
Potrebbe essere, penso che sia, forse è il più bel capitolo di tutta la saga Potteriana.
Vorrei fare una cosa che ho sempre sognato, una pazzia, provare a tradurlo. Visto che se non avessi buttato la mia vita nell’informatica, forse avrei tentato la via delle lingue.
Ma visto come va a finire chi ci prova, penso che rinuncerò.
Mi è venuta voglia di ascoltare All That You Can’t Leave Behind degli U2.
Per fortuna che non ce l’ho qui.
Mettiamo il Piano Concerto No 2 di Rachmaninoff, va.
Beh, io il libro l’ho finito.
Esistono libri che mi hanno fatto cacare, libri che sono scivolati su di me senza lasciare niente, libri che ho divorato salvo poi non ricordare nemmeno i nomi dei protagonisti, libri che mi hanno cambiato la vita (o qualcosa di molto vicino), libri di cui potrei recitare interi passi a memoria.
Non credo che Harry Potter e
cambieranno la mia esitenza, ma il fatto che sono due giorni che leggo i capitoli precedenti per risalire nei meandri della storia mi fa pensare non dimenticherò i nomi dei personaggi.
per il resto evcrgb pur cre zr Nyohf Qhzoyrqber è hab fgebamb. R vy snggb pur cvntahpbyv yn fhn cbpurmmn qv sebagr nq Uneel aba onfgn n snetyv thnqntaner vy ehbyb qry irppuvb fnttvb pur un erpvgngb cre frv yvoev.
R’ ha znavcbyngber… sbe terngre tbbq? Aba vzcbegn zbygb. Anti ROT-13 qui
Per tornare in tema col titolo… questo è il ponte su cui corre l’espresso di Hogwarts (a quanto mi han detto, ho visto solo il primo film). E l’isola parimenti dovrebbe essere Azkaban (sempre nel film).
l ponte non rende molto l’idea, mi dicono che nel film l’hanno ripreso dall’altro lato (dove si vede bene la curvatura) e dall’alto. Entrambi si trovano a Glenfinnan, non lontano da Fort Williams.
Fra l’altro la lettura degli ultimi tre ha ameliorato molto il mio eenglese, per cui mi piacerebbe farmi tutta la fila in lingua originale.
Ce l’ho. Faccio voto di non aprirlo fino a quando sarò sull’aereo domani.
Lo leggerò sulle highlands scozzesi. Probabilmente dov’è nato. E chissenefrega se so già come va a finire :p
Se mi va bene riesco anche a vedere il treno di Hogwarts nella valle di Ben Nevis
Oggi ho trovato in treno un mio amico che si sta laureando (con la media del 30) in lettere. Facemmi il ragazzo vedere parte del suo ultimo esame (30 e lode), nella forma di libello nomato Graffiti latini.
Il libello contiene un centinaio di graffiti trovati sui muri di Pompei. Ho scoperto che 2000 anni fa si scarabocchiavano le stesse cose che si scarabocchiano adesso. Ossia:
Per cui la prossima volta che vedete un vecchietto lamentarsi per le scritte sui muri delle stazioni, borbottando che i ragazzi di oggi sono incivili, rampognatelo a ragion veduta.
Tutto questo, insieme alla profonda rivelazione fattami da un prof. di storia che i valvassori e i valvassini sono un falso storico e non sono mai esistiti, ha sconvolto la mia visione della storia.
Per venire a lavorare in macchina oggi, ci ho messo un the wall completo.
Francesco Guccini – Signora Bovary
Se putacaso non avessi trovato il vinile nello scaffale di casa mia, probabilmente non ne avrei mai sentito parlare.
Mi hanno detto che il fan di Guccini non considera questo CD fra i migliori dell’omino bolognese.
In effetti non ci sono dentro quelle canzoni che tutti magari hanno sentito almeno una volta.
E’ un Francesco in panni strani. Lascia da parte il folk, lascia da parte qualsiasi intento politico.
Infarcisce il tutto di jazz, suonato beinissimo. Credo. Non mi reputo abbastanza esperto da valutare questi tecnicismi. A me sembra comunque suonato da Dio, il che lo rende un disco suonato benissimo visto che alla fine sono io che lo ascolto.
Che poi genericamente a me il jazz non piace (un punto in più) .
Le mie preferite sono le prime due tracce. Le prime due per lato naturalmente, avendolo apprezzato in vinile.
Scirocco è una canzone tesa e nervosa. Impotenza, indecisione, malinconia. L’archetipo dell’uomo tormentato, “tra lei e quell’altra che non sapevi lasciare”. E ti sembra davvero di vederla, arrivare di corsa in quel bar per mettere fine a tutto. Tutto a tempo di tango.
Keaton è invece l’archetipo dell’artista tormentato, quello destinato a consumarsi nella musica, anzi quello che vuole consumarsi nella musica. Tutto su un tappeto jazz perfetto, un grande Tempera alle tastiere, batteria incisiva, gli inserti del Sax. Sapessi suonare il basso un decimo di Tavolazzi potrei morire contento.
Royksopp – the Understanding
Mi erano saltati all’orecchio per aver fatto un video mitico (remind me) sopra una canzone così così.
Consigliatomi da un amico, ho provveduto a recuperare il loro secondo lavoro.
Ecco, c’entrasse una s**a col Guccio! Al jazz si sostituisce la festa del loop, alla musica suonata la musica sintetizzata.
Che però non si dica che questo CD manca di atmosfera.
Alcune tracce marciano su un temi “epici” giocando sui crescendo di suoni e temi, esempio la opening “triumphant” o la fantastica “alpha male”, una suite di 8 minuti che progredisce in un finale elettrico.
What else is there invece è oscura. Cantata da tale Chelonis R. Jones (non conosco) con voce tesa e quasi rotta, parla di lampi, esplosioni e deserte enormi distanze. What else is there?
Grooves funky fulminanti, energia e movimento: Follow My Ruin e Circuit Breaker.
The Ramones – It’s Alive
A contare tutti gli accordi presenti in questo CD probabilmente si passa a stento la decina.
Joey Ramone è un mito, bastano due secondi di cantato per riconoscerlo fra mille. Una grande fortuna per un cantante.
Anche Johnny Ramone è un mito. Le converse, i jeans strappati, la mosrite sgarbellata (*), le pose.
*1*2*3*4* e poi il muro di suono, il fronzolo abolito per legge, i tre accordi elevati a vangelo. I Ramones live perdevano qualsiasi velleità artistica per diventare pura energia.
E’ un CD in cui si stacca il cervello per dedicarsi all’istinto. Tutto quello che c’è dentro, la batteria rigidamente in 4/4, gli assoli elementari, l’assoluta mancanza di stacco fra un pezzo e l’altro, tutto punta verso una sola direzione : facciamo un bel casino. E facciamolo in fretta, che sembra ancora più rumoroso.
Un disco che metto quando sono di buon umore o di pessimo umore. Non va bene per quanto sono ‘medio’. Va ascoltato quando ho delle energie da sacrificare. Va ascoltato per definizione ad un volume assordante. Se capita quando guido e sono in vena, posso diventare pericoloso.
Sigur Ros – Agaetis Byrjun
Tanto complesso quanto it’s alive è semplice. Arrangiamenti orchestrali, sperimentazione sui suoni, voci e cori curatissimi, il quartetto d’archi dietro (e davanti) alle melodie.
Questo è un disco onirico in molti sensi, un po’ per la dolcezza con cui parte. Un po’ (soprattutto) perchè, come ogni sogno, il suo scopo primario è portarti da un’altra parte.
E come in un sogno non c’è bisogno di capire come. La precondizione necessaria è lasciarsi trasportare nelle gelide terre islandesi, dove tutto sembra muoversi lento, lento ma solenne.
E soprattutto potente, una potenza nascosta ma tangibile, un qualcosa che se esplode spazza via tutto quello che trova davanti. La si sente in ogni canzone, questa potenza latente.
Ed ogni tanto esplode. A volte appena accennata, come in svefn-g-englar (quattro colpi di batteria seguiti subito dalla quiete).
A volte, come in Viðrar vel til loftárása, si scarica in pieno fino a raggiungere vette inarrivabili.
Ma parliamo della perfezione di questo pezzo. A cominciare dall’intro di piano è una successione grandiosa. La slide guitar, la voce, la pausa, il cresendo fino all’apoteosi finale.
Ecco, un gruppo che fa una canzone così per me ha guadagnato il diritto di entrare nell’olimpo della musica.
Hanno in comune che?!?
(*) brianzolo: grattugiata, vissuta, graffiata