« Intermezzo: di buchi sottoterra (cenotes), cacao e haciendas deserte »
5 ottobre 2012 @ 20:59E’ destino che io torni a scrivere solo quando non sto bene, anche stavolta un provvidenziale raffreddore mi costringa a casa e mi lasci del tempo per andare avanti a raccontare del mio viaggio in Mexico e California.
Proseguiamo con un piccolo intermezzo tra un Maya e un altro.
Il cenote
Cenote, cenote… chi era costui? Un cenote è un pozzo sotterraneo, che gradualmente si riempie di acqua. Per lo Yucatan, una terra calcarea, senza fiumi e con qualche problema di approvvigionamento idrico, in pratica era la manna dal cielo.
Questi buchi, che secondo moderne teorie sono rimasugli del mega-meteorite che ha fatto estinguere i dinosauri, costellano (ce ne sono letteralmente migliaia) le pianure yucateche.
Questi buchi, che si aprono spesso nel bel mezzo dell giungla, offrono acqua cristallina, buio completo, abissi a volte molto profondi (ci si fa sub) e la possibilità di nuotare assieme a tartarughe e pipistrelli.
La prima foto riguarda il cenote Diznup, un bellissimo posto completamente sotterrano. Purtroppo era buio. E il fotografo era Vito, io stavo facendo il bagno. Le altre sono del Gran Cenote, fra Cobà e Tulum.
Il Cacao
Il cacao arrivava ai Maya, direttamente dalle città colonizzate del sud. In realtà la pianta del cacao in Messico non cresceva granché bene, ci sarebbero voluti climi ancora più umidi tipici del Guatemala e del Venezuela.
Ma ai Maya il cacao piaceva, era una sorta di caffè ante-litteram, contenendo molta caffeina ne bevevano a litri per stare svegli. Da cui l’invenzione della cioccolata, che però i Maya facevano con l’acqua al posto del latte. All’ecomuseo del cacao (nei pressi di Uxmal) te la fanno assaggiare proprio come la massaia Maya la faceva. Vi dirò che non era proprio così schifosa come si potrebbe pensare, soprattutto se la si insaporisce con un po’ di peperoncino.
Il cacao, dai semi alla cioccolata Maya. Immagine bonus: un banano.
L’Hacienda Ochil (o la desolazione)
L’Hacienda Ochil è una ex-piantagione/fabbrica di trasformazione, coltivavano un certa varietà di palme per ricavarne fibra tessile.
Era talmente deserta che sembrava il set di uno di quei film catastrofici in cui l’intera umanità viene azzerata da un virus mortale e si disperde in cenere. Uno spettacolo inquietante.
L’hacienda peraltro era messa totalmente a nuovo, molto carina e sembrava attrezzata per accogliere frotte di turisti. Ad un certo punto da un angolo sono usciti i probabili proprietari, che ci hanno cortesemente spiegato che era bassissima stagione. Dopo aver invano tentato di convincerci a fermarci per pranzo (erano le tre del pomeriggio).
Nelle foto l’hacienda e i macchinai per lavorare il filato.